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Percorso Segantini

una mostra permanente a cielo aperto

Il Comune di Caglio ha voluto rendere omaggio a Giovanni Segantini, e alla sua permanenza in Brianza, in occasione dei 150 anni dalla nascita del grande pittore divisionista, nel 2008.
La Pro Caglio in collaborazione con il comune di Caglio ha collocato en plein air alcuni dei suoi maggiori capolavori, riprodotti a grande dimensione, nei punti del borgo brianteo più suggestivi e più strettamente legati al maestro, come la casa in cui visse dal 1885 al 1886.

Dopo aver vissuto a Milano una turbolenta giovinezza e una formazione all’Accademia di Brera arricchita dalla frequentazione degli ambienti artistici più avanzati, nel 1881 Segantini, insieme alla compagna Bice Bugatti, lascia il capoluogo lombardo e approda in Brianza, stabilendosi inizialmente a Pusiano, in seguito – spinto dall’urgenza di esplorare crinali prealpini sempre più elevati nonché dalla più prosaica necessità di lasciarsi alle spalle i creditori – in prossimità del lago del Segrino (Carella e Corneno), per poi approdare nell’autunno del 1885 a Caglio.

A questo periodo della sua vita corrisponde una pittura dalle tonalità scure e “di maniera”, che - quasi rinnegando il realismo degli anni milanesi - un po’ ingenuamente si abbandona alle lusinghe della moda del tempo e ai soggetti a contenuto aneddotico da essa prediletti (Zampognari di Brianza, 1883-85). Ma accanto ad episodi di vita contadina dai toni idilliaci e leziosi, Segantini concepisce scene di grande credibilità e concretezza come Dopo il temporale, in cui un tessuto materico molto ricco rende tangibile la pesantezza dei panni ispessiti dall’umidità, dei velli delle pecore intrisi di pioggia e la grassezza della terra e dell’erba vivificate dall’acqua, o La benedizione delle pecore, ambientata nel centro di Inverigo liberamente rielaborato in funzione dell’effetto complessivo della composizione. A messa prima - nato dalla trasformazione dell’opera di spiccato sapore anticlericale Non assolta, in cui una ragazza madre si allontana dal sagrato della chiesa derisa da tre frati francescani - testimonia l’abbandono da parte dell’artista di soggetti “di genere” in favore di una spiritualità che prelude già all’epopea della natura inaugurata dalla grandiosa tela intitolata Alla stanga (1886). Questo capolavoro, all’epoca accolto da riconoscimenti ufficiali internazionali (Medaglia d’oro all’Esposizione Universale di Amsterdam) e dall’onore di venire acquistato dal governo italiano per la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, conclude gloriosamente il periodo brianteo, segnando un punto fermo nell’evoluzione tecnica dell’artista e preannunciando i suoi sviluppi successivi. L’opera è stata dipinta a Caglio, nei prati un tempo detti di Santa Valeria dal nome della vicina chiesetta romanica, dove nei giorni di bel tempo, con l’aiuto del suo padrone di casa Giacomo Rusconi e di altri due uomini, Segantini portava la grande tela e si accingeva a lavorare.

Sul fare della sera, in uno scenario emotivamente trasfigurato e dilatato al punto da non trovare fedele corrispondenza con il paesaggio reale, le vacche sono ricondotte malinconicamente allo steccato ed accudite da alcune contadine, per una delle quali - quella in primo piano - posò Ghita (Margherita) Invernizzi, futura balia della piccola Bianca Segantini.

La luminosità tersa dei Grigioni induce Segantini, trasferitosi a Savognino nel 1886, a sviluppare le intuizioni cromatiche già rivelate nell’opera Alla stanga, maturando così una nuova concezione del colore e la scoperta del suo straordinario potenziale ottico-percettivo. L’esecuzione di una seconda versione dell’Ave Maria a Trasbordo (1886-89), tematicamente identica a quella realizzata pochi anni prima a Pusiano, ma inedita da un punto di vista tecnico, inaugura la fase divisionista del maestro, sancita a livello ufficiale dalla prima Triennale di Brera del 1891, in occasione della quale l’artista espone, nella stessa sala della Maternità di Gaetano Previati, Le due madri. Emblema della sua adesione alla nuova corrente stilistica, essa diviene a livello concettuale simbolo della maternità universale che, in un’atmosfera luministicamente ricercata, accomuna la condizione umana e quella animale. Il tema della maternità – accolta come un dono o negata – è ricorrente in Segantini, rimasto orfano di madre all’età di sette anni: attraverso una personale e straordinaria visione simbolista di cui l’intenso naturalismo è componente imprescindibile, L’angelo della vita si identifica con la donna, origine dell’umanità, e, in senso lato, con la natura, generatrice di tutto il creato. A questa immagine carica di arcana spiritualità si contrappongono i corpi estremamente sensuali de Le cattive madri, donne che, avendo rinunciato alla procreazione e alla maternità, sono condannate ad espiare la loro colpa in uno sterile purgatorio di ghiaccio.

La produzione simbolista, di cui fa parte anche la tela di spiccata ispirazione preraffaellita L’amore alla fonte della vita (1896), convive del tutto coerentemente con opere dedicate alle attività dei campi - La raccolta del fieno, l’Aratura – e a vedute paesaggistiche in cui la figura umana è assente o si fa progressivamente più insignificante (Pascoli di primavera, 1896), assorbita dalla grandiosità della natura, da un tutto di cui l’uomo è solo una piccola parte. Pascoli di primavera si ispira al paesaggio del Maloja - dove l’artista, per debiti, si era trasferito con la famiglia nel 1894 - colto in un sereno momento di risveglio della natura cui, in lontananza, si accompagnano le stagionali attività agricole. Lo scenario alpestre è permeato di quel potente afflato panteista che, nella sua ineluttabile eternità, sarà celebrato in questi stessi anni nel Trittico dell’Engadina, un complesso ciclo pittorico – rimasto incompiuto - destinato all’Esposizione Universale di Parigi del 1900. Nel loro perenne divenire, La vita, incarnata da una primavera crepuscolare, e La morte, una statica e desolata scena funebre ambientata in pieno inverno, sono l’essenza stessa de La natura, della condizione esistenziale di rassegnazione cui sono condannati uomini ed animali. A causa di un attacco di peritonite, il 28 settembre 1899 l’artista trova la morte sulle cime dello Schalfberg, che - nel suo mai placato anelito ad un creato sempre più sublime e rivelatore - aveva raggiunto proprio allo scopo di dipingere La natura, in una coincidenza tra vita e arte che avrebbe contribuito non poco alla nascita del “mito Segantini”, di un mito che il Comune di Caglio è orgoglioso di celebrare.

Testo di Margherita Cavenago

Bibliografia essenziale: Arcangeli, Gozzoli 1973; Quinsac 1982; Belli, Quinsac 1999.

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